Crisi malgrado, c’è gente che ha ancora buon tempo; è una notizia rasserenante. Quando hai un saldo stipendio e molte ore per lo svago, d’altronde, è sciocco non approfittarne.
E così, la Presidenta Boldrini s’è incontrata coll’Accademia della Crusca – la qual vive per difendere la nostra bella lingua italiana e quindi ci si stupisce che esista: ma dove stan di sentinella questi accademici, alla Fortezza Bastiani? – per discutere di sessismo grammaticale. Che è forse un nuovo gioco di società fica, tipo il Whist.
Dice la Boldrini, alla Crusca, pressappoco: ‘scruscatemi un po’ ‘sto sessismo, ch’io non son certo un presidente dacché, per la chioma che porto, la curvosità del profilo in controluce e certe mancanze, ho da finire in “a” tutto il riferito. Indegno trovo, ed ostile, non mi venga riconosciuta tal valenza ed abbia io piegarmi obtorta colla all’uso incongruo d’un appellativo erroneo solo perché v’è di questo maldestra tradizione. Voi lo vedete: femmina sono XX garantita, specchio di Venere, luce di Luna, ed esigo la metà del Mondo che mi appartiene per genere e condizione. Cambiatemi orsù tosto la lingua’.
E subito deve aggiungere: ‘Ma non la mia, imbecilli, quella madre!’
Ora, io capisco vi siano casi in cui la noia, il fastidio della vita – specie trascorsa in certi ambienti – spinga alcuni verso piccole ossessioni; c’è chi non cammina sui bordi delle piastrelle temendo di precipitare negli interstizi; chi si mangia le unghie, talvolta dopo essersi scaccolato il naso; chi colleziona tappi di bottiglia. Però questi nostri fratelli (e sorelle, ci mancherebbe, e sorelle, sia detto) devono essere aiutati/e/o/a/k. L’ultima ce l’ho messa perché non si sa mai che altre richieste potrebbero arrivare.
Allo scopo, faccio del mio trasportando nei nuovi dettami boldrin-cruschici un breve resoconto che, siccome son io uomo, e di ciò serenamente conscio e soddisfatto, volgo al maschile ferreo, negandomi articoli e desinenze non pertinenti. E di che altro potrei parlar sì maschilmente, se non di servizio militare?
Son maschio, e ricordo dunque che servii qual militaro nel Trentino e tutto un anno feci senza mai montar di sentinello o di guardio, né scaricar pallottoli di mitraglio, fucilo o di pistolo, anzi: senza mai gli armi tenere negli mani, da cui ci si potrebbe dimandare che minchio di militaro feci mai, e anch’io, fratelli, me l’ dimando. Tant’è; ero ASO; esso è un siglo che dovrebbe terminare in un vocalo il qual non riconosco, tanto m’è estraneo; il siglo acronimo signìfico: “Aiutanto di SanitÒ”, che non è passato remoto.
Mentre gli altri si muovevano in camion o cogli autoblindo od i jeeppi, io mi sbracavo in ambulanzo, dove c’è pure il barello, apposto per dormirvici su nei trasferimenti. Non andavo in menso per mangiare perché eravamo esentati dagli obblighi dei soliti najoni e quando andavo in licenzo, manco detenevo sempre il firmo sul documento; a pensarvi bene, spesso nemmeno il documento avéo con me – anzi: con mu; no, con mo – scappavo, e morto lì; i sentinelli mi conoscevano e non mi rompevano i cabasisi, e così anche il sergento di guardio, come pure il tenento di picchetto. Così accadevo dal momento che io, come guardio sanitario, il facevo l’inieziono sullo culo a tutti, et essi temevano assai che il mio mano non fosse fermo bastante sicché gli forassi il chiappo errato con un medicino periglioso scelto o bello posto per vendicarmi.
Capìti ben, dunquo, quanto il mio militar sìo stato un barzelletto ancor più di ciò ch’ero esso un po’ per tutti. Però l’infermerìo del casermo è un potenzo malgrado non spiani degli armi da trinceo: i sottili aghi dei siringhi ed i ferri chirurgici in quel vallo eroico detenuti, son schermo bastante a respinger gli assalti de’ rompicoglioni.
Poi il najo mi finì, ed ora sto in congedo illimitato provvisorio. Però se riguardo quei tempi freschi, ancor rido al pensiero dei graduati a molti stelli coi facci spaventati davanti ad io con l’ago. E memorando ciò, sì, mi vien non dico tristezzo, dico un po’ di virilo, allegro nostalgìo.
Oh, come mi sento bene; sapete, quella femmina ha ragione: è tempo di scrivere ben sui muri anche “w il fico”.