Il Monte Canuto


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Noi delle case sotto mai avevamo capito perché il Monte Canuto venisse da alcuni chiamato così. Per noi era sempre stato il Monte Giovane, e nell’intrico dei suoi boschi fitti portavamo a passeggio le ragazze. Ci inoltravamo con loro negli spazi da cattedrale che il bosco apriva fra i tronchi, e quando la ragazza s’accorgeva di non saper più ritrovare la strada del ritorno, le chiedevamo un bacio per guidarla; allora lei diceva di no, e noi insistevamo, ed ella ripeteva il suo “no” sempre più in falsetto, e allora ci mettevamo a raccogliere della legna; lei ci chiedeva perché la raccogliessimo, noi rispondevamo “per fare il falò, visto che dovremo passare la notte qui”; a questo punto lei fingeva il pianto tra i sorrisi, e ci pregava di riportarla indietro nel sicuro della sua casa, e noi ripetevamo sorridendo che il ritorno costava un bacio e lei, alla fine, ce lo dava.

Tutte le ragazze conoscevano il gioco di Monte Giovane, che era il gioco degli uomini e delle donne, e sapevano recitare tutta la parte dello spavento di ritrovarsi persi, la ritrosia al ricatto, il broncio, il nascondere il piacere di quel bacio nel bosco.

Una volta uno di noi – si chiamava Aldo ed era un ragazzo così dolce da arrossire per gli sguardi – fece con una ragazza il gioco di Monte Giovane, ma quando alla sua richiesta di bacio arrivò il diniego di lei caricato di vezzosità e d’una vampa di falsa sorpresa ammaliziata, e la querula preghiera di riportarla subitamente a casa perché ella avea paura della sera, egli non tenne la parte, si commosse, confuse il bene col giusto ed offrendole appen la mano, credette il buono e giusto fosse uscire con lei dal bosco, senza il bacio. Quella sera, tutto il villaggio ne parlò; le ragazze, strette attorno a colei che con un uomo aveva attraversato il bosco inutilmente, cantavano una cadenzata melodia di streghe interrotta da risate argentine, affatturando il colpevole di quell’offesa; Aldo, fu da tutti noi preso a deridenti scuffioni e indotto a star su un piede solo bevendo l’Acquapietra, il liquore più forte di queste terre il quale si dice donar tempo ai moribondi, forza agli insulsi, ed ai ritardatari una spinta, ma dopo la bevuta anche ti travolge portandoti ai confini dell’animato laddove ti perderai altro che in un bosco, dovendo, per ritrovar la strada, forse baciare un dèmone sannuto e gorgogliante. D’altronde, a sbagliare il sacro gioco di Monte Giovane, questa è la pena, il viatico e la terapia.

Ecco dunque perché per noi quel monte sopra le nostre case, la via che attraversava le nostre prime vite, era così nominato, ed i vecchi a chiamarlo Monte Canuto, non l’avevamo mai capiti. Quando glielo chiedevamo, il perché, essi non rispondevano che con suoni mozzi, facevano ballonzolare la testa guardando altrove con una specie di triste sorriso in volto, e dicevano solo “non potete ancora capire”.