Personaggi & fraiprèti dell’ultima puntata:
- I due abbracciati: – la mi’ ‘ollega ed io
- L’abbracciatore: – un gran rompicoglioni
- L’avventizio: – un elettore communis
- Il Santo: – ma il santo, no?
- Il pistolero: – la soluzione al problema
Riassunto delle puntate precedenti: pprrrr…
Ultima puntata:
6 – the fine
COMMENTINO-MONOBATTITO CONCLUSIVO
Il film Rocky Horror Picture Show sarà anche tremendamente kitsch, come si dice, ma è una bella storia perché parla bene in metafora.
La storia che presenta è un viaggio iniziatico della piccola borghesia attraverso l’esplosione rivoluzionaria nella morale del tempo (i primi ’70); giustamente la sceneggiatura suggerisce che la piccola borghesia, pur rivestita delle sue corazze di formalismo, cerca, attraverso il benessere, solo il piacere (e cos’altro tutti cerchiamo, in effetti?), perciò di quegli addobbi formali si spoglia facilmente, una volta che il piacere gli sia garantito, pure in una forma per essa inusuale. Ed infatti Brad e Janet, così perbenissimi, sono sedotti subito dalla energia vitalmente erotica di quel misto Dracula-Dottor Frankenstein che è il castellano Frank J. Further. Questi è un bisessuale subdolo e crudele, ma non maligno: è solo un polo attrattore per il piacere nella sua essenza più nuda, è il caso di dire; il piacere senza l’etica del piacere. Così ragionava il periodo storico: via leggi e formalismi e godiamoci la vita.
Ma il film ha un’altra intuizione ben più grande, addirittura profetica, o forse solo molto saggia: dice che prima di ogni libertà e sopra di essa c’è sempre una figura di capo, e dove c’è un capo c’è una fronda, soprattutto quando l’ideale sostenuto e diffuso è quello di una estrema libertà di espressione. E allora i valori rivoluzionari si sarebbero presto sradicati da terra, sarebbero volati via, abbandonandoci, per causa di lotte interne al Movimento che li propagandava; e così è proprio successo nella nostra realtà. Per Brad e Janet (e per tutti i contemporanei del mondo reale) è stata solo una scappatella, una bevuta più forte che lascia un ricordo di maliziosa vergogna e di maliziosa soddisfazione sotto la corazza reindossata. La piccola borghesia, la tradizione, ha vinto soddisfacendosi solo della sua malizia (una emozione tipicamente piccolo borghese), e il nuovo Movimento, che pareva cosa enorme e forte, come nelle fiabe si tramuta in una foglia secca che vola via in un refolo di vento. Addio.
La parodia – Se il Rocky Horror si autodefinisce orrorifico, non ha però tenebrosità ed anzi è molto luminoso; trasportata qua, la storiella sì che diventa buia perché noi siamo la patria degli immigrati Borgia, e siamo tutti figli loro. Qui i cattivi sono proprio tali, e sono furbi senza essere intelligenti (la cupezza), magniloquenti senza essere colti (la meschinità), sfarzosi d’animo pezzente (l’ansia) ed affamati anche da sazi (la miseria come condizione genetica). Nessuna allegria nella parodia; e si potrebbe dirla cronaca reale.
L’imprenditoria che indegnamente (perché noi siamo ben più degni) la mia collega ed io abbiamo rappresentato è genericamente costituita più che altro da plebaglia piratesca, luridi avventurieri tagliaborse rivestiti a festa epperò onoratissimi dalla società sbilenca. L’imprenditore viene onorato per l’abilità nel farsi li cazzi sua il più lucrosamente possibile senza inciampare nell’etica, e dunque l’onore che gli tributa la società sbilenca (invece di tenerlo sotto rigidissimo controllo) somiglia un po’ al congratularsi col ladro per la perizia con la quale ti ha svaligiato l’appartamento ben distinguendo l’oro di famiglia di tua moglie, che s’è fregato, dalla bigiotteria di tòlla che negli anni le hai regalato tu ed è rimasta lì.
L’imprenditore è caciarone di ciarle, infingardo, cinico e baro, ha plurime facce, si adegua al mondo che trova (il mio personaggio con le creature si esprime nei loro linguaggi) senza far nulla per cambiarlo: egli fa tutto solo per sé ed il cambiamento che può provocare è solo accidentale conseguenza del suo successo mercantile; egli è furbo quanto vigliacco ed ignorante come una bestia, tanto che nessun corso di studi superiori potrà mai insegnargli nulla più della partita doppia poiché egli non si direziona ad altro che al profitto proprio; il suo nascondere la miseria sotto abiti firmati non lo si vede solo se non lo si vuol vedere: l’imprenditore mente come i bambini; di razza, è un minus habens. Pensate: Marchionne ha due lauree, ma cosa lo distingue da Briatore? Potrebbe averne cinquanta, di lauree, e sarebbe sempre Marchionne: uno che per esclusivamente propria convenienza può fare qualunque cosa, proprio qualunque. Diceva giagnagnèlli, chiamato pomposamente l’”Avvocato” (non avendo un titolo nobiliare, come tutti i paria di testa giocava a far l’eponimo di qualcosa): “La FIAT è governativa per definizione” – vedete: qualunque cosa, per definizione. Infatti babbo suo, vestito da vecchio Balilla, rizzava il braccetto su ordine del Duce, a lui accanto. Non si dovrebbe mettere sotto tutela, gente che parla così?
Ho avuto buon agio nel rappresentare il mio personaggio semplicemente pensando alla mia giornata: io faccio proprio quel mestiere lì; però sono meno cinico di come mi sono rappresentato. In compenso sono un poco più maldestro.
La mia collega, oltre a fare – correttamente – quel mestiere lì insieme a me, è una giovane donna bella e feroce, di carattere dominante; rappresentandola, ho dovuto inventare nulla. Naturalmente, essendo una donna, è emotiva, volubile e riesce a cambiare modi, parole e pensieri nello stesso istante in cui li esprime. Ma non ha più di una personalità: ne ha una che le contiene tutte; insomma, è femmina. E io l’amo; come un microbiologo può amare il batterio della peste. Anche lei mi ama; nel modo in cui un medico “ama” il suo paziente più ammalato.
Igor, quel mostro, rappresenta come ci si riduce volendo non solo credere alle balle rutilanti e cazzare da vernissage taglianastro (solo credendoci si è l’altro personaggio: l’elettorato danzante in giarrettiera), ma proprio dedicando ànema e còre a servir quelle “perilbenedelpaése”, come si deve dire liturgicamente. Intini, Bondi, Orfini, tutti gli Starace di ogni tempo sono l’Igor. Ma anche l’”intellettuale”, cioè quello che tutti dicono essere un intellettuale anche se dimostra di azzeccarla mai, è Igor. Siamo pieni di intellettuali, nel nostro Paese: sono quasi più dei ladri, dei quali spesso sono i migliori avvocati sociali.
L’Italia-il Padrone: nobile è nobile, chi lo nega; bagascia pure, e chi può negarlo. Prima grande, poi serva nei lupanari degli stranieri, poi ladra, fascista, mafiosa, stragista e intanto bigotta; bigotta e troia. Bipolare? No, no: coerente perché pervertita. Ed essendo tale, si diverte lubricamente a fabbricare figli diletti del suo sadismo e da quelli si fa violentare. In questa broda tutti ci avvoltola perfino godendo del ribrezzo che altrove provoca il suo vizio; non c’è scampo: è una roba brutta che tutti ci dòmina, è il Padrone; puoi girare girare, ma arrivi sempre lì, alla sua sadica lercia e malata fregatura. Ecco perché i viaggiatori della storia finiscono tutti gli anni nello stesso posto, che pare diverso perché cambiano gli addobbi, ma l’Italia non può cambiare: è irrecuperabile.
L’abbigliamento dell’Italia è la divisa di quella personalità distorta, e viene assunta dai suoi prodotti in turno di servizio (per questo il berluscònide non è in gu�pière), dall’elettorato plaudente e dagli avventizi. È il segno dell’avvenuta infezione.
L’Elettorato padronale non si dirige da sé, e nemmeno necessita di venire eterodiretto: è come una cosa, un relée automatico: fai “tic” e balla. Non è umano: è una macchina, semplice semplice, con un interruttore solo, acceso-spento. Ballare è applaudire.
Delle creature non c’è molto da dire: sono i prodotti dell’Italia; si guarda l’Italia e si capisce.
Gli avventizi sono degli strumenti; labbòschi, messa là come specchio per i merli (la sua guêpière è candida come vogliono farla apparire); il benìgni che da quando l’han definito un genio recita la parte del genio, ma nel solo aspetto che gli è noto: quello della sregolatezza preregistrata. È divenuto un luogo comune vivente. Il pàpa, auto-etero-strumento inconsapevole dell’una e dell’altra condizione ed infine:
Il mafioso, personaggio-chiave: si potrebbe dire l’anima stessa del Paese. È pura funzione; la sua loquela contrasta con l’aspetto perché rappresenta quanto ben funziona qui da noi la velleità di mostrarsi addottorati: l’”esperto”, l’”esperto” è tutto, tanto che le lauree si inventano; ed una addottoratura si nega a nessuno (manco a lui); una volta che c’è, si è credibili qualunque cosa si dica perché nessuno analizza quello che vien detto. Gli strafalcioni del mafioso non importano: importa il ritmo del suo discorso denso di astrusità e del citazionismo plebeo che va di moda e colpisce il borghese (di animo e non di ceto: la borghesia non è un ceto e nemmeno un censo, è una condizione infantile perpetua). Ecco che allora il suo aspetto (ciò che lui è) passa in secondo piano rispetto alla chiacchiera. Egli è comunque laureato anche in incaprettologia, vedi mai che la chiacchiera non bastasse. La figurina del mafioso rimanda anche alla famosa frase attribuita ad Al Capone: “si ottiene di più con una parola gentile ed una pistola che con una parola gentile solamente”.
Per inciso, non solo in Italia (dove nel suo “Manifesto del secondo rinascimento” – BUR, Armando Verdiglione iniziava il capitolo titolato “L’automatismo pulsionale” così: “Oreste e Periandro si collocano nel commento alla tragedia fra il matricidio sotto il segno del deus ex machina e l’incestagogia sotto il segno della machina ex deus. L’esito è raccolto, fra gli incendi di Roma, da Seneca con il suo Edipo con cui la romanità, spoglia di diritto e di poesia, si contrappone a Cristo.” – e voi dunque ammetterete che io coll’Italy Horror non ho fatto parodia: è la realtà ad essere parodica delle mie vignette) c’è la moda svaccata del culturalese o scientifichese: i nostri vicini franchi ne vanno fatuamente matti. A questo proposito, chi amasse le beffe intellettuali di alto livello può leggere il bellissimo resoconto del tremendo scherzo che il fisico Alan Sokal tirò all’establishment accademico francese con il suo articolo “Violare le frontiere: verso una ermeneutica trasformativa della gravità quantistica” che era in realtà una voluta somma di minchiate pazzesche e fu preso per buono e pubblicato per puro conformismo, cioè ancora piccolo borghesismo, che colpisce, come si vede, a tutti i livelli (A. Sokal – J. Bricmont “Imposture intellettuali” Garzanti). E bravo Sokal: dàgliele secche.
L’ambientazione, solo accennata perché avevo mica tempo di disegnare tutti i beni artistici, ben s’intende: lusso di grande antica e nobilissima casata e merda pacchiana (la cattelanàta), dove le cose di enorme valore sono miste ai lustrini di bigiotteria e valutate altrettanto; e fuori, la tempesta. Ed il bello è che è meglio fuori, in questo il mafioso ha perfino ragione.
Ed ora, l’originale: https://www.youtube.com/watch?v=FFtARYlzkpA