Api da compagnia


 
Per secoli, la religione ha voluto sostenere che gli animali altro non sono che automi programmati; con ammirevolmente invariata continuità di pensiero, la religione continua tutt’oggi a sostenere questa posizione, il che potrebbe far porre interessanti domande epistemologiche, ed anche cibernetiche.
 
Ma sull’ultimo numero del mensile “Le Scienze”, uno studio rivela aspetti imprevisti delle caratteristiche dell’ape, proprio l’ape, quell’insettuccio pizzicoso che va sui fiori e poi secerne la melassa sdolcinata per cui alcuni vanno pazzi ed altri invece no. L’ape, l’insettuccio, quella bestiolina tipo scarrafone non molto diversa da una blatta schifosa ed apparentemente così aliena a noi, ci somiglia invece, più di quanto si possa pensare, perché – udite udite – essa capisce, elabora e deduce.
Ma chi, l’ape? – E sì, l’ape. L’ape ha un cervello di un millimetro cubo con meno di un milione di neuroni (il nostro cervello ha volume di oltre 1.000.000 di millimetri cubi, e contiene dieci miliardi di neuroni, spesso quasi tutti inutili). Evidentemente, l’avere così pochi neuroni è il segreto del suo vantaggio: l’ape non può infatti perdersi in boiate, con la conseguenza di risultare parecchio dotata intellettualmente.
Essa riesce infatti a risolvere compiti cognitivi complessi come l’assimilazione di stimoli diversi ad una stessa categoria e a discriminare stimoli apparentemente simili in categorie diverse; comprende cioè che “due volti” sono cosa diversa da “due fiori” e che ognuno degli elementi della coppia appartiene alla medesima categoria. Questo significa che l’insettuccio dalla breve vita ha la facoltà di capire i concetti di “uguale” e “diverso” ed in più può estenderli a stimoli variati nella struttura, nell’orientamento e nella tipologia; può quindi sottilmente capire la differenza tra “faccia umana” e “faccia non umana” ed anche distinguere la fisionomia differente di due facce umane.
Inoltre, leggiamo che il cervello dell’ape è diviso, come quello umano, in due emisferi interconnessi ed ha aree deputate a compiti specifici, al pari del nostro. L’insetto è perciò in grado di “apprendere” informazioni, conservarle in memoria e concettualizzarle. Nulla dice invece l’articolo sull’eventuale capacità dell’intelligentissima ape di comprendere (e magari spiegarci) alcuni misteri sui quali a tutt’oggi la nostra specie primitiva non è riuscita a trovare risposta, come, per esempio, la ragione per la quale alcuni individui debbano lavorare come bestie, mantenendo altri che invece non fanno un’ostia dalla mattina alla sera. Ma speriamo nel progresso della ricerca.
 
Per ora, comunque, possiamo dire che la vostra ape vi riconosce, capisce cosa accidenti volete da lei e, se dite cacchiate, se ne accorge.
Ora il problema è dimostrarle di non essere da meno.
 
 
 

Pensieri di provincia


 

Meno male che l’Italia è in ripresa, l’ha detto Letta.
Invece da noi piove. Non dico tanto da fare il mare, ma delle belle pozzanghere ci sono anche qua. Infatti la mia donna s’è arrabbiata perché gli ho infangato casa (questa era la notizia del giorno), mi s’è bagnato il cane e l’ho asciugato. Poi gli ho dato da mangiare. Ha mangiato, e adesso dorme. Ecco qua.
Sì, non succedono molte cose memorabili dalle mie parti e allora ci contentiamo di poco, senza piroscafi, senza la spiaggia; la sabbia sì, quella ce l’ho perché mi serve per fare il calcestruzzo, che quando lo vedi impastare sembra vomito, però poi ci vai dentro ad abitare e questo ti fa pensare sul senso della vita.
Pure alle banche piace il calcestruzzo; metti che vai a chiedere un mutuo o un finanziamento: subito la banca ti fa: “lei ha del vomito, voglio dire del calcestruzzo?” se ce l’hai, bene, ti danno il tuo finanziamento e si tengono in pegno il tuo calcestruzzo finché non gli rivomiti tutti i soldi che ti hanno dato, con un bell’interesse (sennò come farebbero ad avere le sedi nel centro storico, ti pare) e se non ce l’hai, puoi pure vomitargli l’anima lì, ma un euro non te lo danno manco a crepare.
In compenso il nostro bel Governo mi pare li abbia esentati dal pagamento IMU; ‘sta notizia mi rende perplesso: intanto, ‘cazzo è IMU, cosa vuol dire, e poi sarà forse che la banca non la paga perché mica gestisce soldi suoi, ma di altri, e allora a pagare le tasse mie coi soldi tuoi sarebbero buoni tutti?
E in fondo è meglio così, almeno qualcuno che sta bene c’è anche da noi. Le banche stanno bene, anche perché non scuciono più una lira né di IMU né di i mutui. Ma è giusto: può mica dare in giro i soldi che non sono suoi, no? Metti che io ti dico: “tienimi qui ‘sti dieci euro”; poi arrivo e ti dico: “i miei dieci euro?…” e tu: “li ho dati a Stefano”. Ma sei scemo? 
Le banche, son mica sceme.
Infatti per il mio finanziamento che la banca mi ha dato tempo fa, non ho mai saputo chi ringraziare. Chissà di chi erano quei soldi. L’ho chiesto, alla banca, ma fanno finta di non capire; eppure io volevo almeno mandare un panettone con un biglietto alla famiglia-tipo, la famiglia Brambilla che me li ha dati; a me servivano, e di sicuro, prima di darmeli, la banca gli avrà chiesto il permesso, no? Sarà successo così:

– La banca: – buongiorno signor Brambilla, senta un po’: qua c’è uno che ha bisogno di soldi. Siete disposti a fargli un finanziamento a cinque anni?
– Brambilla: – mmm… ma è una persona fidata?
– La banca: – mah, noi la mano sul fuoco non la mettiamo per nessuno, figurarsi, però lavora questo qua, sembra un buon cristo, ha pure adottato un cane randagio.
– Brambilla: – ah, be’… aspetti che ne parlo con mia moglie… (pausa, bisbiglii) …sì guardi, signora banca, mia moglie aveva un cane dieci anni fa che era una cosa… gli mancava solo la scrittura perché poverino era disgrafico, ma era così intelligente, sapesse, parlava persino; una volta le ha detto…
– La banca: – ehm, sì certo signor Brambilla, mi scusi ma poi un giorno la vengo a trovare e mi racconta bene questa storia: ora dovrei completare la pratica e se potesse darmi la risposta gliene sarei proprio grato, eh?
– Brambilla: – oh certo, scusi sa, noi stiamo sempre in casa e allora quando si possono fare due parole… vabè, dai, la cosa del cane ci ha commosso, poverino, lo facciamo per lui, così il suo cliente gli può comprare la pappa… lo sa che una volta…
– La banca: – grazie mille signor Brambilla saluti alla signora! (clic)

Ecco. Mi sono commosso anch’io. Chissà dove abitano quei bravi vecchietti; ma anche da voi le banche non dicono niente su chi è che gli dà i soldi per le imprese? Fanno male, secondo me: sai come fa bene un semplice “grazie” alla gente semplice, quella che mette i soldi in banca insomma?

Si potrebbe fare una raccolta firme, per questo. E’ bella, la raccolta firme: è come la raccolta – che so – dei tappi di bottiglia; serve a un cazzo, ma intanto la fai, così, tanto che ti costa. Vale quanto una preghiera, e perciò qualcosa vale. Per chi vuole fare il Papa, ad esempio, vale sì.
E per noialtri, vabè, basta il sole.

 

Le catene


 

 Bzzzz!… bbzzzz!…. bbbzzzzzz!…. sbrisciano le rote sulla neve; nomi di calendario salgono lieti in cielo, ma senza costrutto. Non c’è probblèma: ci ho le catene. 
Le catene sono invecchiate come un whisky di marca, ma – io penso – son di ferro, che male c’è; errore: son fuori misura, la macchina è diversa, la macchina non le vuole, la macchina ha bisogno di catene sue, la macchina. 
Insolenze curiose giocano coi fiocchi sbarazzini, mentre scende lieta la neve.
Spendiamo come Grandi di Spagna ed eccoci qua con le catene d.o.c.; istruiti dalle istruzioni, mettiam mano alla bisogna; bisogna circuire la parte A e collegarla allo spinterogeno; no, ma che spinterogeno, all’ottaedro a vite continua della giunzione 3; dov’è la giunzione 3? Lo sa cristo. Ariguarda le istruzioni. Sono scritte in tedesco. Non c’è l’italiano? Dopo quella stronzata del “Kapò”, no. Però c’è il cinese. Carino, il cinese. E intanto scende la neve.
Studiando la morfologia catenica nel buio della notte di natale a venti sotto zero, in maniche di camicia perché il pullover è bello e si sporca, la mente occupata a ricordarsi come si chiama quel Santo remoto, si giunge alla conclusione che la parte A e la zona C1 sono da avvitare, qualunque cosa succeda. Le avvitiamo, temendo l’esplosione.
Eccole congiunte; la catena ora è più corta di mezzo metro e sembra la spirale del DNA con diversi problemi genetici. Mettiamo il groppo osceno su una ruota e, per sicurezza, aggiungiamo l’attack, che dio abbia pietà di noi. Si parte incatenati.
Le catene sembrano cavalli da rodeo e schizzano sei metri avanti abbattendo due pupazzi natalizi; s’elevano verso le stelle salmi densi di nomi d’anime e d’animali. Intorno a noi scende la notte santa e ululano lupi selvaggi.
Disgiunte a morsi le congiunzioni erronee, con pile ed accendini sogguardiamo i grafici ingegneristici del foglio d’istruzione: alcune vignette stile madonnaro mannaro c’insegnano che non abbiam capito un cazzo. Era la parte C a dover essere girata per prima intorno ai retrovisori, cantando l’Aida. Eseguiamo. Ed ecco che la catena è connessa; ha tutto l’aspetto delle ganasce per immobilizzare l’auto in divieto di sosta; preoccupati, sostiamo a fiato sospeso, sperando e spingendo (la catena – sappiate – c’ha pure i suoi cazzi d’assestamento).
Ecco che si parte. Si rumoreggia come una mietitrebbia, ma si va fuori dalla ghiaccia che ciaveva fregato. 
E si arriva sullo stradone. 
E la neve non c’è più. 
Si scende e si strappano le ruote a calci, sgretolando con le unghie quelle merde di catene che ormai stanno così attaccate da sembrare tutt’uno collo pneumatico, laddove poco prima penzolavano come moccio stanco.
Salgono lente e pensose verso le nuvole pregne, di Santi del cielo notizie ed opinioni.

 

Piesse


 
C’era una vecchia trasmissione di Arbore che si chiamava “Indietro Tutta”. Tra le sue mille scenette divertenti, ricordo il tormentone goliardico del “piesse”, consistente in una interferenza radio che avveniva ogni qual volta i conduttori Arbore e Frassica dicevano la parola “piesse” venendo così immediatamente interrotti da un dialogo tra volanti della polizia impegnate in deliranti operazioni di servizio: 
– “volante uno a volante due, volante uno a volante due, stiamo inseguendo un toro sulla via Nomentana…”
Arbore allora tentava di avvisare i poliziotti che le loro comunicazioni stavano interferendo con una trasmissione RAI, ma questi lo appellavano così:
– “maresciallo, il toro è fermo sotto l’Esquilino e piange. Cosa dobbiamo fare?”
Nessuno sforzo dei conduttori riusciva a fare intendere agli agenti l’equivoco, ragion per cui Arbore si rassegnava al ruolo del “maresciallo” e cercava di dar consigli alle volanti, affrontando di volta in volta i più strani casi che si possano immaginare dopo adeguata droga. E la trasmissione non andava più avanti.
 
Cambiate mutande, è più o meno quello che succede col piddì; piddì invece che piesse, ma è lo stesso. Ogni volta che berlusconi pare morire, trac: “piddì”! – e la trasmissione non va avanti più.
Adesso è rrènzi, a trovarsi in “profonda sintonìa” con un truffatore pluripregiudicato contiguo a mafiosi e forse corruttore di minori.
 
E bravo rrènzi, bravo: profonda sintonìa, ragazzi, con quello, il piddì. 
Chi altri con chi altro, d’altronde? – direbbe un politologo, o un criminologo, ormai laurea unica.
 
Salve, o famosa base; mi spiegheresti ora la differenza tra “appartenente alla base” e “basista”?
 

La logica dell’arcobaleno


 

La Lega accusa il Ministro Kyenge di “favorire la negritudine”.
Bene: siccome se vale una affermazione deve valere anche il suo reciproco, altrimenti non si può fare il confronto e casca tutta la baracca, il Ministro Kyenge potrebbe, se volesse, accusare la Lega di “favorire la bianchità”. Ma la Lega è forza di governo di un Paese democratico, dunque è certamente democratica e, nel caso favorisse davvero la bianchità, questo non potrebbe essere inteso come un illecito di stampo razzista. Quindi, sempre per la storia del reciproco, non è da intendersi come illecito di stampo razzista nemmeno favorire la negritudine.

Confortati dall’evidenza che nessun illecito di stampo razzista è stato commesso, allora, restiamo in attesa di un Ministro di origine asiatica che favorisca finalmente la giallezza, e di uno di sangue nativo americano che si impegni – ché se ne sente il bisogno – nel favorire la rosseria.
E speriamo, perché no, che un giorno o l’altro si scoprano esistere davvero i Puffi.

Perché è tanto bello l’arcobaleno, vero?

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