PregandoLo


In tutta l’iconografia, quando non è ingrugnato, Dio sta depresso. A mio parere, è colpa del modo in cui i fedeli gli si rivolgono. O fedeli, ve ne prego: almeno a Natale, siate con Egli un po’ più sereni e disinvolti; dopotutto state parlando con papà, e che Diamine.

 Dio

(roboante, enfatico) – O Dio dei cieli, Dio dell’universo ascolta! E vòlgi lo sguardo al tuo umile servo! Frena il tuo sdegno! Rimetti a noi i nostri debiti! Liberaci dal male! Dacci il pane quotidiano! Non ci indurre in tentazione! Salva le nostre anime! Insomma, Dio: in riga!
(vocione) – …Chi mi chiama?
– Eccoti, o Dio dei cieli e degli eserciti e dei fiumi e dei mari e degli eccetera! Dagli uomini alle amebe tutto canta la tua gloria! Cantano tutti, tutti! Ma si può fare ‘sto casino?
– Si può sì; ma dove stai parlando?
– Eh?
– Perché stai girato di là?
– Cosa? Come dici? Sai, Dio, che non ti capisco; o Dio dei cieli, manifesta la tua volontà al tuo servo! Non negare al servo la servitudine! Palesa al servo la tua sembianza!
– La smettessi di dare ordini… sono qui, cosa guardi per aria
– Dove qui!?
– Ma qui, qui, cosa credi, che volo?
– (voltandosi, tono normale) Ah qui stai; ma allora cosa c’entrano i cieli…
– Benappunto dico, mucchio di scemenze; beh, cosa vuoi?
– Allora: innanzitutto mille miliardi, poi…
– Senti bello: mio figlio era uno straccione; tu, che sei mio figlio pure, anche se adottato, già mi pare che te la passi molto meglio
– Sì, ma mi faccio due coglioni…
– Preferisci fare miracoli e finire crocifisso?
– Tu sempre esagerato: in medio stat virtus, no?
– …In che?
– E’ latino, ohé!
– E chi lo capisce, il latino
– Non parli latino?!
– Ma tu guarda questo; io parlo aramaico, per cominciare, e ho fatto una fatica della madonna (io posso) con l’italiano, figurati se mi mettevo a imparare lingue che non parla più nessuno; pensa te, il latino…
– Mi dici qualcosa in aramaico?
– Eh? Ah, ssì, mmm…
– Allora?
– E un momento no? Mmm… eee… “gaugurgla globbe…” no, no…
– Eh?
– …Me lo sono dimenticato.
– “Te lo sei dimenticato?”
– Che c’è, l’eco? Sì, me lo sono dimenticato! Sono duemila anni che non lo parlo più, me lo sono dimenticato, va bene?
– Ah! Ah! Ah! (si sganascia)
–  …Che stronzo…
– (asciugandosi le lacrime) Ah! Ah!… ossignùr, incredibile… vabè che credo quia absurdum…
– Cosa credi?
– Niente, lascia stare; sai che sto studiando il tedesco?
– Mbè, dura, eh?
– Ma no, c’è l’insegnante di sostegno, stiamo placidi lì, si dorme…
– Adesso non fare il figo, ‘gnagnagnà…’ secondo me non hai imparato un belino
– Che, te la sei presa per quella storia dell’aramaico? Anche nella Bibbia c’è scritto che sei un peperino: le cavallette, piove sangue…
– Quando te le fanno girare…
– Puro spirito incazzoso!
– Sempre meglio che puro spirito in un sacco di merda!
– Ah! Ah! Va’ come s’incazza… dài non te la prendere, sai come li chiamano a Milano quelli come te?
– No…
– Neanch’io; contento? Dài, facciamoci un giro;(camminano) donne, ne conosci?
– No… ci vorrebbe mio figlio, lui sì è un tipettino… tu come stai messo?
– Come te; sto con una che se solo guardo un’altra donna, mi ammazza a forchettate
– Ostia!
– Eh! Kyrie Eleison!
– Allora: Alleluia!
– Osanna, tiè!
– In excelsis Deo!
– Cusa l’è quel ròb lì?…
– In saecula saeculorum!
– Abracadabra!
– Non vale! Ma infine…
– (in coro) Aaamen!
– Ah! Ah! Ah!
– Ah! Ah! Ah!… (si allontanano)

Adler-immeruer


A tredic’anni si ha l’età per mollare le bambole e i fuciletti e iniziare a preoccuparsi delle bambole e del fatto che esistano i fucili. Io ero in ritardo.
E quindi mi son fatto convincere a fare un campo scàut, come si dice dalle nostre parti qui in anglosassonia.
Siccome che ero in prova, manco si trattasse d’un lavoro, non avevo i calzoncelli, la sahariana, il fazzoletto al collo (ma a che serve?) ed il turbante – no, il cappellaccio australiano come tutti gli altri; ero in borghese. C’era questa fila in divisa seguita da uno in borghese che sembrava il cane pastore, ma era invece un pecoro sghembo, anzi: una crisalide in mezzo ai farfalloni, e perciò faceva tenerezza come tutti i brutti anatroccoli. Mi resi conto ben presto in che tipo di guazza paciugassero, quei cigni.
Fui aggregato ad una “squadriglia”. E’ sempre meglio di un “fascio di combattimento”, ma si vede che certe cose rimangono. La mia squadriglia si chiamava “Adler”. Nella mia acerba monoglossia, chiesi di ripetere il nome quello lì e mi spiegarono che “adler” significa “aquile”, in tedesco. E perché in tedesco? – chiesi ingenuo. Non ebbi immediatamente risposta chiara.
Ma la ebbi poco più tardi, quando un “capo” (non un “kapò”, a tutto c’è limite, evidentemente) ci inquadrò con tanto di gagliardetto esibito da un camerata vessillifero e di subito fece grido: ADLER! – a voce stentorea d’in sui margini d’un bosco; IMMERUER! – esplose a seguito il coro dei miei compagnucci. Non riavévo capito. Mi spiegarono, con qualche spazientimento, che il grido di risposta significava: “sempre pronti!”, in tedesco. Ma vi piace il tedesco? – domandai, pieno di sorprese puberali. Non ebbi subito risposta chiara.
Ma la ebbi anni dopo, e non s’è più confusa; però torniamo a quei tempi:
Sebbene lì tra quelle squadriglie si parlasse, qui e là, tedesco, questo era assai sgrammaticato e maccheronico; “aquile”, plurale, in tedesco si dice “adlern”, piccola differenza, ma conta, perché i tedeschi sillabano la pronuncia come noi (d’altronde, siam parenti) e la enne si sente. “Sempre pronti” poi, si dice “immer bereit” mentre “immeruer” farebbe fare ad un tedesco dabbene il gesto a pigna. Ma son dettagli, d’altra parte non possiamo richiedere a degli adolescenti brufolosi condotti al pascolo da ventenni con arie da Gran Mogol, un rispetto filologico da vecchi bibliotecari. I brufolosi col fazzoletto (ma a che serve?) ed i loro pastorelli sono perdonati. Per questo.
C’è però sempre una probabilità: metti che tra le SS (SchutzStaffeln) girasse, tomo tomo cacchio cacchio, quel grido incomprensibile: immeruer! – che magari faceva tanto conventicola, setta, gruppo chiuso, così che la fanteria (Wehrmacht) si chiedeva: “ma checcazzo dicono quegli scombinati?” – e le SS ridacchiavano contente che gli altri non ci capissero un tubo. Poi la cosa potrebbe essere passata, per le solite vie della Storia, alla mia squadriglia, vai a sapere, bisognerebbe chiederlo a Wiesenthal, ma purtroppo è morto. Però se le cose fossero andate così avrebbero ragione loro, quelli col fazzoletto che non si sa a cosa serve. Ma passiamo oltre.
Gli scàut che io seguitavo a pècoro, amavano assai i luoghi sacri. Perciò facemmo campo presso un monastero. Mai più che fosse dentro il monastero, perché gli scàut sono gente avventuriera e quindi fuori dal monastero, nel bosco, con le tende, ma mai troppo lontano da un monastero, perché gli scàut amano assai i luoghi sacri (il ciclo è il motore della vita, sicché non ci si lamenti del resoconto).
E l’avventura cercata arrivò, fin troppo decisa: una tromba d’aria spinta dalla calura ci fece vorticare tende e masserizie per tutta la campagna, ragion per cui ci ritrovammo, nudi e scotennati, dentro il monastero il quale pure s’era mezzo crollato in una parte, grazie a Dio.
Passata la tromba, alla cerca di ciò che si poteva ritrovare il giorno appresso, rinvenimmo cani. Cani di varie fogge e dimensioni, tutti pettinati dalla bufera e questuanti protezione, cibo e sicurezze. Uno di questi era un cucciolo piccolo così, di cui i “capi” ebbero considerazione quanto d’una càccola e che io personalmente portai a quel monastero chiedendo ne avessero cura i frati giacché noi, in mutande e con le tende in cima agli alberi di chissà quale altra regione, avevamo solo più il nostro grido di guerra in tedesco per far qualcosa di utile. Il prete che mi ricevette (anche lui in borghese, ma almeno era vestito) mi disse testualmente: “ma buttalo via”. Ne rimasi scosso: due bufere in poche ore.
Cercando nella melma poi, reperii fortuitamente il mio portafoglio; in esso i miei candidi genitori avevano disposto diverse banconote per ogni evenienza, ed ecco l’evenienza. Reso intraprendente dal tesoretto, ma ligio alle regole, io andai a domandare ai “capi” il permesso di mollare il campo per andare a far spesa; “no”, fu la risposta. “Perché no?” volli indagare; “perché no” ripeterono in formula eco.
Una ragione che non rendeva ragione, pensai, ed iniziai una attività carbonara da vero piccolo esploratore mettìnculo: alle prime buone, fuìi dal campo dei disastri e mi feci una strippata nel paese poco lontano, indi, per tacitare gli adler miei camerati, che non potevano non aver notato la mia assenza pervicace, portai loro biscotti a strafottere. Erano corruttibili, scoprii, quei giovani esploratori.
Ma erano anche molto pii. Ed infatti la prima cena al campo fu incoronata di santa devozione; prima di mangiare, con la fame giovane che s’aveva, acuìta dalle dette avversità, bisognava prima di tutto ringraziare Dio. Della tromba d’aria? Anche; perché tempra lo spirito e rafforza. La fame? No, la fede. Dunque una giaculatoria lunga abbastanza da far freddare la pietanza era d’obbligo, in quelle condizioni. Me n’accorsi mentre stavo facendo la scarpetta con alcune molliche che avevo conteso alle formiche – del fatto che avrei prima dovuto giaculare. Gli altri, tutti con faccia da adler-immeruer, mi stavano guardando in attesa che finissi. Ma avevo finito, prego, ringraziamo pure.
Devo dire che non fui molto apprezzato, in quel consesso; la critica riguardava certa mia carenza di spirito comunitario: non chinavo il mento sull’ombelico alle redarguenze dei capi, poco esibivo per loro un’afasica admiranza ed a culo mandavo volontieri e il padre guardiano poco cinofilo ed il management tutto, filotedesco. Poi ero infìdo, perché laddove sarei dovuto essere non stavo e, mentre avevo cura di quel cucciolo così come delle creature migne che Dio mi metteva tra i piedi, pochissimo attendevo alle sacre liturgie di un gruppo così saldo in regole di parola, mai di fatti. Inoltre mostravo d’essere davvero poco immeruer.

Ci lasciammo senza rimpianti, il gruppo coi calzoncelli e fazzoletto del mistero ed io, dopo quell’esperienza, né mai, reciprocamente, ne son certo, rivolgemmo l’un gli altri un penso affettuoso. Mi bastò, bastai loro. Le strade della vita divergono spesso, anche tra i mammiferi più sociali e mai più mi capitò di incrociarne un solo, di quegli adler o delle altre squadriglie di cui non rammento i nomi (Panzer? Blitzkrieg? Mein kampf?), mai più, finora.
E mai avrei immaginato d’averne uno a presidente. E’ evidente, no? – come questo spieghi quasi tutto.